Ortro

Ortro 

 

Un giorno Stefano Tedeschi creò Ortro o forse Ortro liberò Stefano Tedeschi. La mitologica creatura bicefala è nel suo equilibrio, volutamente squilibrato, come le opere dell’artista. 

Complici gli studi universitari, la passione per la letteratura, la filosofia e i fumetti hanno fatto sì che Ortro vivesse in un mondo fatto di caos e disciplina. In sintonia con il pensiero del biologo e filosofo francese Jacques Monod, per Ortro vi è stretto rapporto tra caso e necessità, come unica spiegazione delle alterazioni accidentali. 

Usa pennarelli rapidograph, modulando intensità, toni e spessori per creare originali opere. Con la tecnica del tratto continuo genera storie che, al loro interno custodiscono altri racconti, frutto della contorta e letteraria fantasia dell’autore. Si serve di ingranaggi per narrare la realtà priva di senso apparente, ma satura di significati. Ingranaggi attorcigliati come cavi, pseudo motori e pseudo circuiti. Disordine e inutilità di un cumulo di ingranaggi che crea la struttura del soggetto. 

Analizzando il linguaggio, vi è lo strumento intuitivo e al tempo stesso meditato di una vera finzione, evocata da un’immagine fantasiosa, talvolta ironica, spesso riconoscibile nei meandri storici e iconici di un’epoca artistica. Omaggio a un surrealismo che non riguarda solo l’amore attrattivo a una linguistica nonsense, ma tocca una metodologia operativa che condivide con gli stencil affissi ai muri delle città. Volontà di aggredire la piatta compostezza di una superficie inerme e generare in esse opere che si presentino come versioni grafiche inattese, riflessioni dell’artista sulla possibilità di un pensiero a- linguistico emergente da una dimensione materialmente e metaforicamente gioiosa. 

Le sue opere si caratterizzano per uno stretto rapporto tra presente e passato, propulsori di un’indagine conoscitiva e autobiografica, intuitivamente filosofica. Come Raymond Roussel, padre della Patafisica, le opere appaiono impegnate nella logica dell’assurdo. 

Il caos, il disordine crea il paradosso di una rigorosa logica, una chiara struttura comprensibile ed empatica. Sarà l’osservatore a ritrovarsi con il proprio bagaglio di esperienza e sensibilità nei meandri di pieni e vuoti, di neri e bianchi, intricati se visionati da vicino, tanto semplici e lineari se ammirati da lontano, nell’idea che l’esperienza artistica non sia un’isola in un oceano ma sia l’oceano stesso. 

 

Curatrice  

Chiara Sticca